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PatologieAmiloidosi cardiaca: in arrivo il registro nazionale

Amiloidosi cardiaca: in arrivo il registro nazionale

In Italia sta prendendo forma un nuovo modo di affrontare l’amiloidosi cardiaca, una patologia che per anni è rimasta ai margini della ricerca poiché considerata rara e spesso veniva intercettata tardi. L’amiloidosi cardiaca colpisce il cuore ed è causata da un accumulo anomalo nel muscolo cardiaco di proteine amiloidi dannose per l’organismo. Oggi la conoscenza è più solida, le terapie stanno cambiando e anche l’organizzazione dell’assistenza compie un salto di qualità.

Dall’inizio del 2026 sarà operativo il primo registro nazionale dedicato a questa malattia. Nascerà grazie al lavoro congiunto della Società Italiana di Cardiologia e dell’Istituto Superiore di Sanità e rappresenterà una base dati unica nel suo genere. I principali centri per l’amiloidosi caridaca raccoglieranno informazioni sulla diffusione della patologia, sull’impatto che ha sulla vita delle persone e sull’effettiva efficacia dei trattamenti già in uso nella pratica clinica quotidiana.

Oggi inoltre, il panorama terapeutico si avvale di un’opportunità di cura in più, che segna un passo importante per questa malattia rata: è stato introdotto un farmaco in grado di stabilizzare la transtiretina circolante, l’Acoramidis, mentre un inibitore della sintesi epatica della stessa proteina, il Vutrisiran, è atteso a breve. Due strumenti che, per i cardiologi, segnano un cambiamento concreto nella gestione della malattia.

Per quanto riguarda il registro consentirà di monitorare nel tempo i pazienti, valutando non solo la risposta alle cure, ma anche le ricadute fisiche ed emotive sulla loro quotidianità e su quella dei caregiver. L’obiettivo è costruire una fotografia precisa della malattia nel nostro Paese, ancora assente, a differenza di quanto avviene altrove, dove si ipotizza una prevalenza attorno ai 4 casi per milione di abitanti.

Un altro aspetto fondamentale sarà il supporto alla diagnosi: grazie ai dati raccolti, ci si attende un aumento dell’attenzione da parte dei medici e una riduzione dei ritardi diagnostici, che oggi possono protrarsi per anni, così come un calo degli errori di inquadramento clinico.

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