Affrontare il ricovero in una Rsa di un familiare con l’Alzheimer o oltre gravi forme di demenza può essere un’esperienza emotivamente ed economicamente pesante. I costi per il ricovero in Rsa sono esorbitanti e le fatture mensili spesso arrivano a migliaia di euro, mettendo a dura prova le famiglie. Molti parenti, infatti, spesso si trovano ad affrontare di tasca propria queste spese, senza sapere, che per legge, dovrebbero essere sostenute dal SSN, poiché strettamente collegate alle prestazioni sanitarie. A chiarire questo aspetto è intervenuta una sentenza della Corte di Appello di Milano, che sottolinea come qualsiasi diversa attribuzione degli oneri risulterebbe incompatibile con l’articolo 30 della legge n. 730 del 1983. Quest’ultimo dispone che al fondo sanitario nazionale competono «gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali», nonché con l’articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie), che stabilisce la gratuità delle «prestazioni sociali a rilevanza sanitaria».
In pratica, le famiglie non dovrebbero sostenere costi che per legge spettano al Servizio sanitario nazionale, eppure spesso accade il contrario, trasformando un momento delicato in un peso economico.
La sentenza
La Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 1644 del 2025, ha confermato tale principio nel contesto di un’opposizione a un’ingiunzione di pagamento superiore a 26.000 euro relativa al ricovero in Rsa di una paziente affetta da Alzheimer, dichiarando la nullità del contratto di assistenza «per contrarietà a norme imperative». La Corte ha richiamato l’orientamento secondo cui:
- l’attività svolta a favore di soggetti gravemente affetti da Alzheimer ricoverati in strutture di cura va qualificata come attività sanitaria, essendo impossibile distinguere e separare le quote sanitarie da quelle assistenziali, data la loro stretta interconnessione e la netta prevalenza della componente sanitaria, sempre finalizzata alla tutela della salute del paziente (Cassazione, sentenza n. 4558 del 2012);
- rientrano tra le prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario anche i trattamenti farmacologici somministrati continuativamente a soggetti con grave psicopatologia cronica, purché ospitati in strutture dotate di strumentazione e personale specializzato per terapie riabilitative (Cassazione, sentenza n. 2276 del 2016).
Il punto di vista della Cassazione
Tuttavia, non vi è unanimità su tale orientamento. Ad esempio, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 13714 del 2023 sottolinea che occorre valutare le «condizioni del paziente» per determinare la prevalenza della componente sanitaria rispetto a quella assistenziale. Secondo l’ordinanza, è necessario che l’assistenza sia strettamente collegata a un trattamento sanitario finalizzato a rallentare la progressione della malattia e a limitarne la degenerazione, soprattutto nei casi più avanzati, in cui possono emergere comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per terzi. Qualora, invece, risulti che la prestazione socio-assistenziale non sia inscindibilmente legata alla prestazione sanitaria, è legittimo che una parte della retta di degenza ricada a carico del paziente.