Il nuovo welfare non entra nella legge di bilancio
«Speravamo che il 2024 potesse essere il primo anno in cui cominciare a costruire un welfare migliore per i quasi 4 milioni di anziani e le loro famiglie, ma purtroppo a quanto pare non sarà così: avevamo proposto un vero e proprio Piano di legislatura ma nelle prime bozze della legge di bilancio non ce n’è traccia. Né ci sono le risorse necessarie». Cristiano Gori, docente di Politiche sociali all’Università di Trento e coordinatore del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza a cui fanno capo 57 tra associazioni e organizzazioni, è tra le “menti” della legge-delega sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti (legge 33 del marzo scorso).
Un testo atteso 25 anni, avviato dal governo Draghi e sposato in pieno nel suo impianto-base dall’esecutivo Meloni. Una riforma cruciale, che nel complesso interessa circa 10 milioni di persone nel Paese considerando i caregiver e che mira a tenere insieme politiche di prevenzione e promozione del benessere della popolazione anziana (l’Italia è la nazione più vecchia al mondo dopo il Giappone con il 5% di over 65 e andrà al raddoppio nel 2030) e una rivoluzione nella presa in carico nella fase in cui le persone non sono più autosufficienti. Varata senza risorse aggiuntive ma con la previsione di un riordino complessivo di fondi che via via sono stati istituiti negli anni, la legge avrebbe dovuto mettere le ali con un’iniezione di risorse nella prima manovra utile (l’attuale) e con i decreti attuativi da approvare entro gennaio 2024.
Fondi al lumicino
La montagna, almeno per adesso, ha partorito un topolino: le associazioni del Patto – in interlocuzione continua con la viceministra alle Politiche sociali Maria Teresa Bellucci – avevano presentato a più riprese proposte dettagliate chiedendo che in questa legge di bilancio si recuperasse una cifra di partenza intorno al miliardo e 300 milioni. Nulla di fatto: secondo ‘rumors’ dall’esecutivo – in attesa di visionare il testo della legge che non è stato ancora divulgato – si sarebbe faticosamente a caccia di un mini-gruzzolo da 150 milioni. Un “primo segno d’attenzione”, lontanissimo però sia dalle richieste delle associazioni sia soprattutto dalle esigenze della riforma.
Buio sui decreti attuativi
Non va meglio con i decreti attuativi con deadline al prossimo 31 gennaio: sono in alto mare, con il Governo che non ha aperto tavoli di confronto con le associazioni. I temi? Definizione di “persona anziana”; riordino, semplificazione e coordinamento delle attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti anche attraverso il coordinamento e il riordino delle risorse disponibili; sostenibilità economica e flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per gli anziani e gli anziani non autosufficienti. Al momento, l’orizzonte di legislatura in cui confidavano sia dal Patto sulla non autosufficienza sia almeno a parole il Governo sembra sfuocato, anche perché per una riforma di così ampio respiro servono anni. Eppure, anche nel contesto di un Servizio sanitario nazionale su cui l’assistenza spesso inappropriata agli anziani pesa come un macigno – basti pensare agli accessi “bianchi” in Pronto soccorso o ai ricoveri-parcheggio in assenza di un sistema di welfare adeguato – il riordino delle cure per la terza età fragile alleggerirebbe i costi migliorando i servizi. In questo quadro, il 24 ottobre il “Patto” promuoverà a Roma un dibattito con le istituzioni politiche per condividere proposte e azioni volte a riportare sul tavolo del Governo la riforma: l’intento è uscire dallo stallo.
Le richieste delle associazioni tra cure a casa, residenzialità e trasferimenti monetari
La proposta del Patto chiede di agire già dal 2024 – anno in cui colloca anche l’avvio del Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente previsto nella Riforma – in ciascuno dei principali ambiti della non autosufficienza: assistenza domiciliare, servizi residenziali e trasferimenti monetari. L’assistenza domiciliare specificamente progettata per la non autosufficienza, fino a oggi assente, va caratterizzata da una durata adeguata ai bisogni dell’anziano, da una molteplicità degli interventi sanitari e sociali e dal coordinamento tra Asl e Comuni. Nei servizi residenziali viene elevata la qualità dell’assistenza agli anziani che vivono nelle strutture: questo implica un aumento del tempo quotidiano che i professionisti della cura dedicano a ogni paziente. Nei trasferimenti monetari, la prestazione universale sostituisce l’indennità di accompagnamento. Gli importi sono superiori a oggi per chi versa in condizioni più gravi e per quanto sceglieranno di impiegare la prestazione per ricevere servizi di qualità
L’impegno finanziario
L’impegno finanziario, infine: tra i 5 e 7 miliardi annui in più. Cifra significativa – ammettono le associazioni – ma raggiungibile a condizione che diventi una priorità politica. Per renderla sostenibile, la crescita della spesa dovrebbe essere graduale nell’arco della legislatura. Si parte da un incremento delle risorse da 1.306 milioni nel 2024, per arrivare a 3.287 milioni nel 2026. Fonte Il Sole 24 ore