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Ddl anziani e Rsa

Tra gli obiettivi della nuova legge delega per la riforma della non autosufficienza vi è sicuramente quello di rinnovare la residenzialità per realizzare quella che dovrebbe essere una successione continua di servizi, attraverso il superamento della contrapposizione tra residenzialità e domiciliarità. Riformare la residenzialità, però, si prospetta un obiettivo alquanto arduo, dal momento che per farlo bisognerebbe dapprima superare le numerose problematiche che investono il settore come, ad esempio, la disuguaglianza di servizi nelle regioni, le difficoltà connesse alla mancanza di personale e di posti letto, l’impossibilità di realizzare ristrutturazioni sostanziali di gran parte degli edifici esistenti ecc.

Nel settore della residenzialità, come dicevamo, i problemi non sono pochi, basti pensare che sulle Rsa mancano leggi nazionali uniformi, tanto che ogni Regione si è organizzata in modo autonomo dando una propria interpretazione dei vari servizi che devono garantire e della retta da richiedere alle famiglie. Le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) in Italia sono il principale servizio di lungo assistenza per anziani non autosufficienti e disabili, ma dietro a questo acronimo ‘universale’ si nascondono servizi residenziali che differiscono da Regione in Regione. Dette differenze, alla fine, si ripercuotono sull’utente finale, ossia i cittadini che si ritrovano ad usufruire di servizi differenti a seconda della regione in cui risiedono.  Alla luce di tali disparità tra le diverse Regioni, i Decreti legislativi dovranno indicare misure idonee volte a individuare omogenei livelli di assistenza a livello nazionale, anche in relazione alla dotazione di personale, attraverso i criteri di autorizzazione e accreditamento locali nel rispetto delle competenze garantite dalla Costituzione alle Regioni e agli Enti Locali.

Non meno problematica è la questione del personale dal momento che, oltre agli standard diversi tra le Regioni, la situazione è ulteriormente complicata dalla carenza di figure professionali difficilmente reperibili su tutto il territorio nazionale soprattutto dopo l’emergenza Covid. Nelle RSA mancano all’appello il 26% degli infermieri, il 13% degli Oss e il 18% di medici a causa della carenza strutturale di figure dedicate e di una rivalità tra settore sanitario e sociosanitario nell’attrarre nuove leve.

Un altro problema concerne le difficoltà di molte Rsa, spesso legate a limiti oggettivi di carattere architettonico/strutturale, ad affrontare delle ristrutturazioni radicali. In questo caso i decreti legislativi dovranno trovare delle soluzioni affinché tutte le strutture assicurino un’accoglienza di tipo amichevole. Un’evoluzione del sistema delle Rsa da governare e accompagnare anche se molte strutture hanno già ambienti qualificati in tal senso.

Il problema maggiore, però, rimane quello delle risorse economiche, punto debole del provvedimento, dal momento che la riforma si dovrebbe attuare con soli 500 milioni, ossia quelli previsti dal Fondo Nazionale per le Non Autosufficienza. Si pone nuovamente il problema delle risorse aggiuntive che mancano sia per una appropriata assistenza semiresidenziale e residenziale che per quella domiciliare. La soluzione in questo caso non può essere lo spostamento delle risorse dal residenziale al domiciliare, come  prospettato da taluni, dal momento che verrebbe meno quel continuum assistenziale obiettivo principale della riforma.

RedazioneTerzaeta.com

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