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PatologieFrattura dell'anca nell'anziano

Frattura dell’anca nell’anziano

L’avanzare della medicina, grazie a tecniche innovative, o farmaci ultra efficaci, ha aumentato enormemente l’aspettativa di vita. Oggi arrivare a 80 anni non è più un traguardo inarrivabile, piuttosto è una eventualità molto frequente. Purtroppo però non tutti i sensi vengono preservati e facilmente si va incontro ad una caduta a terra con conseguenze non sempre positive.

Iniziamo col distinguere due condizioni che sono simili nell’effetto finale, ma differenti nella causa:
– Caduta accidentale: la persona anziana inciampa su un tappeto o uno scalino, e a causa del colpo sull’anca, si frattura il femore.
– Frattura del femore e conseguente caduta: spesso le persone anziane vanno incontro a processi degenerativi della densità dell”osso chiamato osteoporosi, e basta un aumento di carico sull’anca, a provocare una frattura del femore (generalmente il collo chirurgico è quello più fragile) con conseguente caduta a terra dell’anziano.

Se ci soffermiamo un attimo a pensare, una persona in terza età, che spesso è autosufficiente in tutto, si ritrova in una frazione di secondo, ad essere “malata” e bisognosa di cure immediate. L’aspetto psicologico è davvero importante, e spesso i familiari non comprendono appieno il dramma del loro caro, che non ama sicuramente essere di peso per altri.
Il primo luogo di “approdo” è il pronto soccorso che  è spesso vissuto con molta angoscia e paura. Infatti, dopo le lastre di rito e la diagnosi, il paziente viene sballottato nel migliore dei casi, in un reparto ortopedico dello stesso ospedale (da cui magari non hanno ricevuto buone recensioni da amici…), ma in alcuni casi per mancanza di posti letto, viene inviato in un’altra struttura disposta ad accoglierlo.

In presenza di una frattura ossea all’anca, l’indicazione chirurgica è sempre quella maggiormente accreditata, e va eseguita in fretta, per non trascurare complicazioni ad altri organi.
Anche questo aspetto deve essere approfondito psicologicamente, in quanto affidarsi alle cure di un medico sconosciuto non è cosa da poco, soprattutto perché magari non è il solito medico che conosce il paziente, e che magari ha curato in passato l’artrosi al ginocchio.
Possono passare anche diversi giorni, prima di affrontare il vero intervento chirurgico, a causa di lungaggini burocratiche o interventi con maggiore priorità in ospedale.
Eseguito l’intervento, possiamo dire che lo scoglio più complesso è stato superato, ma ora comincia la fase successiva, che risulterà fondamentale per recuperare la forma perduta e riprendere la propria autonomia.

Fondamentale è sicuramente non perdere tempo e iniziare la Fisioterapia, per evitare condizioni di allettamento. La scelta che si pone ora alla famiglia è su due strade:
1) Far trasferire il paziente in una unità riabilitativa (generalmente esistono cliniche convenzionate in rapporto con l’ospedale)
2) Portare il paziente a casa e proseguire la riabilitazione a domicilio.

Queste due scelte dipendono da molti fattori, come la condizione generale del soggetto, la condizione dell’appartamento (barriere architettoniche come scale, o spazi troppo grandi), la presenza di parenti o personale infermieristico (infermiere, badanti, ecc…), e infine la condizione economica (generalmente il costo della riabilitazione è completamente a carico del paziente).
Se possibile, ci sentiamo sempre di consigliare la soluzione casalinga, perché sicuramente dona una tranquillità psicologica, oltre al fatto che si limita il fattore noia nell’anziano, che sopratutto se vigile e orientato, risulta sennò rinchiuso in una struttura riabilitativa giorno e notte a fronte di 1 ora di fisioterapia al giorno per almeno 30 giorni.
Talvolta in alcune strutture si nota un grosso problema di organico per il personale infermieristico, che non ce la fa a far fronte alle richieste dei tanti pazienti ricoverati. Inoltre, la persona anziana è abitudinaria anche nell’alimentazione, e naturalmente in ospedale non può decidere il proprio menù, e non tutti i figli possono farsene carico.
La fisioterapia intensiva dura circa un mese, in cui il fisioterapista si occupa di recuperare il tono muscolare, ridurre edema e infiammazione dell’intervento, e insegna a deambulare dapprima con due canadesi, e poi con uno solo dopo 30 giorni.

Va ricordato infine che il consulto con il medico è importante, e fondamentale a dettare i tempi per il recupero completo.
Il nostro caro paziente ricorderà sicuramente gli eventi che lo hanno sconvolto, ma se tutto è andato bene, rimarranno solo un brutto incubo, riprendendo appieno la sua autonomia e indipendenza.

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