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PatologieIpertrofia prostatica

Ipertrofia prostatica

Tra le patologie che colpiscono la prostata, la più frequente è l’ipertrofia prostatica benigna (o adenoma prostatico), che consiste essenzialmente in un ingrossamento dell’organo ed un suo conseguente calo funzionale. Si tratta di un evento tipico dell’età avanzata, che si presenta frequentemente dopo i 60 anni (oltre questa età si calcola che si manifesti nel 70% degli uomini e nell’80% dopo gli 80 anni).

La prostata è una ghiandola a forma di castagna del peso di circa 20 grammi, che circonda l’uretra ed è localizzata sotto la vescica. È un organo presente solo nel sesso maschile e la sua principale funzione è di alimentare la produzione di liquido seminale e preservare la vitalità degli spermatozoi. Infiammandosi, si ingrossa e può disturbare la funzione urinaria.

Cause

La causa dell’ingrossamento della prostata non è nota con certezza, ma si pensa che l’accresciuto tasso di estrogeni che contraddistingue l’uomo ad una certa età sia rilevante, in quanto la parte muscolare della prostata è dotata di un gran numero di recettori per gli estrogeni. In situazioni sperimentali si è inoltre potuta riprodurre l’ipertrofia prostatica con caratteristiche del tutto analoghe a quella che si verifica spontaneamente nell’uomo con la somministrazione ad animali di prodotti ad azione estrogenica.

Sintomi

Il principale segnale di allarme consiste in una crescente difficoltà a urinare che peggiora sempre più, rendendo difficilissimo svuotare la vescica (spesso si determina una ritenzione urinaria che impone il ricorso al catetere per lo svuotamento). Non sempre, però, il paziente si rende conto dei preavvisi della malattia e spesso l’ipertrofia prostatica viene scoperta occasionalmente dal medico che, nei pazienti maschi di età più avanzata, si informa sui sintomi tipici, esamina la prostata o richiede uno specifico esame del sangue, il PSA (antigene prostatico specifico), che valuta le concentrazioni dell’antigene della prostata (tra 0 e 4 nanogrammi in condizioni normali), decisamente aumentato nei casi di ipertrofia. Quest’ultimo è un esame salvavita, in grado di dire con esattezza se la prostata sta bene, sta così così, oppure è stata colpita da un tumore.

Diagnosi

Dal punto di vista diagnostico l’esplorazione rettale, il primo esame da compiere, è una indagine semplice e non dolorosa e rimane tutt’ora la più attendibile. L’ecografia, in particolar modo quella realizzata con una sonda transrettale, consente un esame minuzioso della ghiandola ed è un’ottima guida nell’asportazione di piccoli frammenti per l’esame istopatologico da presumibili aree sospette della prostata. Anche un semplice esame del Psa che, in genere è più elevato nel carcinoma, può rivelare precocemente una possibile alterazione della ghiandola. Un ulteriore semplice esame, la flussometria, che valuta la forza ed il volume del getto urinario, ci permette di specificare il grado di ostruzione che la ghiandola prostatica crea al passaggio dell’urina.

Cura

Un terreno importante su cui si sta muovendo la ricerca sul tumore della prostata è quello della prevenzione. In questa direzione sta assumendo sempre maggiore importanza la dieta. Quella “occidentale” sembra associarsi ad un aumento di rischio, mentre quella mediterranea e quella seguita in Estremo Oriente sembrano offrire un effetto protettivo. Fra gli elementi più pericolosi per la salute della prostata ci sono i grassi, in particolare di origine animale. Al contrario, per cercare di ridurre il rischio, si dovrebbe aumentare il consumo di vegetali. Anche i fitoestrogeni sembrano utili: i flavonoidi e i lignani derivati dalla soia, da alcuni frutti e verdure esercitano un effetto preventivo.

Anche la vitamina D potrebbe svolgere un’azione favorevole. Per quanto riguarda la terapia, nei casi diagnosticati nella fase iniziale, il medico dispone un trattamento a base di farmaci antiprostatici e decongestionanti, che hanno lo scopo di diminuire le dimensioni della prostata, ristabilendo così la sua funzionalità e una normale minzione.

Se la cura non fornisce l’effetto sperato, è indispensabile far ricorso all’intervento chirurgico (prostatectomia), che si può svolgere attraverso diverse tecniche e che ha l’obiettivo di rimuovere una parte della prostata o l’intero organo. La più recente delle procedure proposte nel trattamento chirurgico di questa patologia è rappresentata dall’asportazione della prostata per via laparoscopica. Essa consiste nell’operare senza ricorrere alla classica incisione, che permette l’accesso diretto alla ghiandola e la sua completa asportazione “a cielo aperto”. Con questa nuova tecnica, invece, tutto avviene all’interno, sotto il controllo di un monitor che consente di vedere l’organo ingrandito di 12 volte. Si praticano cinque taglietti di pochi millimetri sulla parete dell’addome, attraverso cui vengono inseriti una sottile telecamera e gli strumenti chirurgici. Per il resto l’intervento è uguale a quello classico, ma con alcuni vantaggi: la perdita di sangue è molto minore perché, grazie all’ingrandimento, tutti i vasellini vengono visti e coagulati; inoltre il dolore post operatorio è minore e si può dimettere il paziente più in fretta. Con la tecnica laparoscopica, infatti, il paziente viene dimesso dopo tre giorni, senza catetere o lo toglie dopo un paio di giorni.

Quasi sempre l’intervento consente di ridurre significativamente i disturbi e mette comunque al riparo da possibili complicazioni (ritenzione urinaria acuta, danneggiamento della funzione renale, ecc.). L’asportazione della prostata rende sterili, ma non impedisce di svolgere una regolare vita sessuale. Se la diagnosi viene fatta precocemente, nei casi di tumore benigno (i più frequenti), grazie anche alle tecniche che utilizzano il laser per eliminare i tessuti malati e l’endoscopia, che evita i tagli addominali, si riesce a non danneggiare l’apparato urinario e le funzionalità sessuali.

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